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Game thinking, l’antidoto alla complessità di innovare

In questo articolo imparerai a conoscere:
come il game thinking può aiutarci nel nostro percorso di innovazione

Perché leggerlo:
pensare come un game designer ci aiuta costruire un sistema per acquisire informazioni e dati rilevanti per il nostro progetto partendo dalla qualità delle relazioni con i nostri primi early adopter

Cosa lo ha ispirato:
Questo brano di Fever Ray

Perchè pensare ed agire (thinking) come un game designer può aiutarci nel gestire al meglio il nostro percorso di innovazione ?
Nel suo omonimo libro, Amy Jo Kim, imprenditrice e famosa game designer, definisce il Game Thinking come:

 

l'arte e la scienza di coinvolgere i clienti in un percorso avvincente verso la “maestria” (crescita o potenziamento di un’abilità). 

Secondo l’autrice americana, infatti, attività strutturate come giochi, sport, lavoro d'ufficio e raccolta fondi ruotano tutte attorno allo sviluppo e all'utilizzo di un'abilità e sul nostro naturale desiderio di svilupparla maggiormente. Non è una motivazione estrinseca come un premio, un badge, un particolare riconoscimento a coinvolgere le persone, bensì una serie di motivazioni intrinseche che spingono il giocatore all’azione.



Come possono legarsi insieme il Game Thinking  e l'Innovation Management? 

Se il Design Thinking ci aiuta a comprendere meglio le esigenze dei nostri clienti, il framework Lean/Agile (utilizzando il ciclo build-measure-learn) nello sviluppo del prodotto/servizio ecco che per costruire un'esperienza, una relazione importante ed un reale coinvolgimento con i primi early adopter, i primi clienti hot-core del nostro progetto, dobbiamo far affidamento al mindset e gli strumenti del game designer.  

Il Game Thinking significa concentrarsi sul percorso del cliente, non limitandosi al solo costruire meccaniche di interazione attarverso gli elementi di gioco. L’obiettivo è costruire esperienze intorno alle persone profondamente coinvolgenti ed accelerare quindi il nostro percorso verso la creazione e l'adattamento del nuovo prodotto nel mercato di riferimento.



Come farlo?

 

Amy Jo Kim, che ha una laurea in psicologia sperimentale, sostiene che, per creare un'esperienza davvero avvincente, possiamo prendere spunto dalla teoria della Self Determination Teory e dalla Motivazione Intrinseca, teoria emersa negli anni '70 poi ripresa nel libro di Dan Pink, Drive.

Tutto ruota intorno a tre elementi fondamentali:  Autonomia, Maestria e Scopo.  

L'autonomia è la sensazione di controllare il proprio destino, la maestria attinge all'impulso universale del nostro desiderio di migliorare in qualcosa, infine lo scopo, la bussola del nostro agire. Nella nostra vita lavorativa e personale, lo scopo guida le nostre azioni e rappresenta la connessione e la relazione che costruiamo con altre persone, lavorando insieme ad un grande traguardo o sostenendo una causa condivisa, insomma qualcosa di più grande di noi che va oltre le nostre esigenze quotidiane. 

Il punto è che negli ambiti in cui opera la complessità non bastano semplici meccaniche come badge, punti e scorecard. Non siamo così facilmente condizionabili come i cani di Pavlov.

Bisogna costruire un percorso per noi, come per i nostri clienti, in cui è il viaggio è protagonista, non la destinazione.

E' l'esperienza, è come ci sentiamo, è la qualità delle nostre attività a fare la differenza. 

 

Nei giochi, ci sentiamo protagonisti, siamo noi gli artefici delle nostre scelte. I giochi sono costruiti da sistemi e regole che ci coinvolgono in un micro-mondo, in un "cerchio magico" condiviso e riconosciuto da tutti coloro che giocano. In un cerchio magico, le attività ordinarie assumono un significato particolare se sono connesse e coerenti ad un obiettivo di valore. Così se da un lato ci cimentiamo nell' apprendimento attraverso la pratica ed una continua sfida, (per raggiungere il flow) il processo/percorso di trasformazione personale è il reale obiettivo di un grande gameplay. 

Le motivazioni estrinseche come guadagnare una ricompensa o evitare una punizione, ci aiutano nelle piccole azioni e/o in task semplici, ma quando l’attività in cui siamo immersi ci chiede un impegno importante, nella costruzione di nuovi comportamenti e nell’adozione di abitudini completamente differenti da quelle abituali, dobbiamo puntare tutto sulla motivazione intrinseca.   


Il game thinking lavora sulle motivazioni intrinseche dal momento che: 

  • ci aiuta a costruire ​un’attività che amiamo
  • ci regala uno scopo ed un significato profondo per le nostre azioni
  • ci aiuta a costruire qualcosa di valore per gli altri (generiamo un impatto)
  • ci aiuta  a crescere, a sentirci migliori, più forti in una particolare abilità
  • ci aiuta a focalizzarci di più sulle relazioni tra le persone e non sul prodotto o touchpoint
  • ci aiuta a costruire un contesto generativo attorno alla nostra organizzazione: i giocatori (ovvero i nostri primi clienti) nelle loro prime relazioni con il prodotto, nel dialogo costruito con la nostra organizzazione ci aiutano nel progettare nuove evoluzioni e successive fasi di sviluppo del prodotto e dei servizi collegati.

 

Insomma, coinvolgere i nostri primi superfan ci aiuta a crescere (nei numeri, nella conoscenza, nella qualità della nostra offerta). Per questo dobbiamo trasformarci in game designer e costruire con loro un ecosistema (sistema di gioco e di relazione) in modo da aumentare la nostra conoscenza (capitale semantico) dei loro reali bisogni (che diventano thick data per il nostro progetto) ed accrescere loyalty e advocacy intorno al nostro Brand, con ambassador che ci aiutano a costruire nuove relazioni con quelli che saranno i nostri clienti medi.  

 

Innovare non è un gioco, o forse si?



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