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Modelli di business aperti: costi e ricavi dell'innovazione aperta

E’ opinione largamente diffusa che l’innovazione sia uno dei principali driver aziendali per garantire una crescita sostenibile e profittevole nel tempo. Innovare è costoso, ma smettere di innovare significherebbe assicurarsi l’estinzione.

Negli ultimi anni il tema dell’innovazione sta sperimentando nuove strade, dettate dalla configurazione attuale dei mercati, le cui logiche vengono costantemente a modificarsi per effetto dell’avanzamento delle tecnologie e della globalizzazione.

Due sono le forze specifiche nel panorama economico mondiale che stanno obbligando le imprese ad aprire i propri processi di innovazione. E sono le stesse forze che modificano, inevitabilmente, le logiche di profitto e l’assetto del business model.

 

Incremento dei costi di sviluppo della tecnologia

Negli ultimi dieci anni i costi di sviluppo di nuove tecnologie sono notevolmente cresciuti, sia a livello macro, e quindi di spesa in innovazione sostenuta dai Paesi, ma anche in termini di spese di R&S sostenute dalle imprese. Quando il tasso di vendita all’interno di un settore è inferiore al tasso di spesa in R&S aggregato delle imprese operanti in quello stesso settore, il modello di business non è sostenibile. Il tasso di crescita delle vendite dovrebbe seguire il percorso di sviluppo tecnologico, remunerando i fattori impiegati nell’innovazione ad un tasso più che crescente. La prossimità dell’incremento percentuale delle vendite, all’incremento percentuale delle spese in innovazione è stato il campanello d’allarme per molte industrie.

 

Cicli di vita più brevi

La diminuzione del grado di profittabilità di un settore può derivare da numerose variabili, sia endogene che esogene all’impresa. Tuttavia, negli ultimi anni, determinante è stata la drastica riduzione del ciclo di vita di numerosi beni, che ha evidenziato la non omogeneità temporale tra i tempi di maturazione dell’innovazione e l’esigenza di immissione rapida di nuovi prodotti sul mercato. Ma questo fenomeno non ha solo conseguenze negative. Se l’unica variabile da considerare fosse stata l’incremento dei costi di sviluppo innovativo, allora le grandi corporation avrebbero innalzato, rispetto ai competitor più piccoli, barriere all’entrata dei mercati che avrebbero arrestato fatalmente tutte le altre imprese che non disponevano della stessa forza finanziaria. La combinazione di costi crescenti da sostenere e l’accorciamento di vita dei nuovi prodotti, ha rimesso sulla linea di partenza tutte le imprese.

Il nuovo terreno della competizione è il network, e i processi di innovazione open.

La logica open fa sì che l’innovazione torni ad essere un’attività economicamente attraente e sostenibile, anche in un mondo di cicli di vita brevi, perché agisce congiuntamente sulla leva degli investimenti in R&S e sull’altezza dei ricavi.

 Costi e ricavi open innovation

                     Fonte: Henry Chesbrough, OPEN Modelli di business per l’innovazione. Egea, 2013.

 

Un modello di business che affianca lo sviluppo interno di innovazioni, con processi di tipo open, influenza l’altezza dei costi di ricerca e sviluppo, in quanto focalizza le risorse interne sullo sviluppo di formule innovative di prodotto o di processo, affiancando alle stesse risorse esterne, il cui intervento comporta per l’azienda il risparmio di costi in termini temporali e di investimenti.

Adottare processi open non significa difatti abbandonare la ricerca e lo sviluppo interno, quanto più, individuare nell’ambito della funzione ricerca, su quali progetti perseguire lo sviluppo impiegando le risorse interne, e su quali progetti sfruttare o affiancare partner esterni che possano ridurre tempi e costi dello sviluppo interno, velocizzando lo sfruttamento dell’innovazione.

Una testimonianza significativa è quella fornita dalla Procter & Gamble che, in un articolo[1] di Larry Huston e Nabil Sakkab, documenta come l’azienda abbia perseguito notevoli risparmi di tempo e una accelerazione del time-to-market, commercializzando patatine istoriate la cui tecnologia di produzione deriva da un adattamento di una tecnica di decorazione utilizzata da una pasticceria di Bologna. La P&G ha così acquisito la licenza d’uso della tecnologia, e ha sfruttato una innovazione esterna per commercializzare un prodotto proprio.

Un modello di innovazione aperta influisce però anche sul lato dei ricavi, ampliando il numero di mercati in cui l’innovazione prodotto può essere immessa. E consente di individuare altre fonti di ricavi aziendali a partire proprio dalle invenzioni rimaste inutilizzate in azienda. Il portafoglio di brevetti di una impresa è in media utilizzato effettivamente solo per il 10%, il restante 90% è costituito da brevetti che rimangono inutilizzati per mancanza di connessione con il business model, e conseguente impossibilità di utilizzo. Ma tali innovazioni hanno comportato per l’azienda costi di sviluppo e investimenti, il recupero dell’investimento potrebbe quindi derivare dalla cessione ad aziende esterne. La cessione all’esterno genera nuove conoscenze sulle opportunità tecniche e commerciali, opportunità che rimarrebbero inesplorate se le innovazioni interne rimanessero sigillate in azienda.

Quindi, l’open innovation contemplata come modello di offerta di innovazioni a soggetti esterni, potrebbe produrre nuovi fonti di ricavo attraverso licenze, spin-off e vendite/dismissioni.

 

 

 

[1] https://hbr.org/2006/03/connect-and-develop-inside-procter-gambles-new-model-for-innovation

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