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Philo & Management 2. Praticare l'osservazione interiore per la gestione dei conflitti con KRISHANMURTI

Gran parte delle sofferenze relative alla sfera lavorativa derivano dalle relazioni che intratteniamo con i nostri colleghi, dirigenti o leader. Tendiamo a pensare che se queste persone cambiassero il loro approccio nei nostri confronti, le relazioni che intratteniamo con loro migliorerebbero. Tendiamo quindi a considerare il cambiamento come fattore esterno, come un fattore che non coinvolga la nostra persona ed i nostri conflitti interiori.

Il filosofo e saggio indiano Jiddu Krishnamurti, considera queste situazioni il riflesso di ciò che accade interamente, nel nostro inconscio. Secondo Krishnamurti non è possibile risolvere le tensioni esterne, senza risolvere il caos che esiste in ognuno di noi. Krishnamurti ci invita quindi a riflettere sulla trasformazione interiore. Se il mondo è nel caos, se le guerre e la violenza nelle relazioni sono la vita quotidiana di molte persone, è soprattutto perché non abbiamo placato il tumulto che è dentro di noi. La pratica del pensiero filosofico di Krishnamurti ha come scopo l’esplorazione del caos interiore, per acquisire consapevolezza su come trasformare i conflitti esterni.

E’ possibile certo sfuggire alle situazioni che ci infastidiscono: cambiare le nostre frequentazioni, amici, colleghi. Tuttavia, se non cambiamo la nostra diposizione interiore, alcuni conflitti tendono a riproporsi. È osservando attentamente i nostri pensieri e credenze che possiamo lenire la violenza e il conflitto dentro di noi. Impercettibilmente, le relazioni saranno modificate ei conflitti appariranno di colpo mitigati.


Non esiste nulla di più potente secondo Krishnamurti della trasformazione interiore per sfruttare al meglio i nostri rapporti professionali, e modificare il clima nell’ambiente lavorativo. Un buon leader deve essere in grado di coltivare questa abilità. Anche se esistono diversi metodi che possono insegnare a guidare e gestire le relazioni professionali, se non si riflette sul dialogo interiore, il modo in cui i pensieri guidano le azioni, non sarà possibile capire come dirimere i conflitti professionali, trasformando in fruttuose relazioni che tendiamo a ritenere problematiche.

 

Violenza e pace convivono in noi

Secondo Krishnamurti ognuno di noi vive un costante conflitto interno: una parte di noi tende a volere la pace, un’altra il conflitto. Se ci chiedessero cosa preferiamo, tutti risponderemo la pace. Tuttavia, nelle nostre giornate troviamo però spesso difficile prevenire una certa quantità di “violenza” nelle relazioni, soprattutto di tipo professionale. Non si tratta di combattere fisicamente, la violenza è nelle parole usate, nel tono, in atti le cui conseguenze non misuriamo congruamente, quando si ignora il parere di qualcuno o si abusa del parere decisionale.

Accade spesso di parlare o sentir parlare dei propri colleghi in modo critico, ritenendo che il loro comportamento non sia in linea con le aspettative dell’azienda, dei dirigenti, dei leader. Violenza è anche giudicare ciecamente e in modo perentorio e frettoloso. Il collega non è abbastanza dinamico, entusiasta, veloce o allineato agli scopi aziendali. Da un lato, le aziende mostrano la volontà di lavorare per supportare i propri dipendenti: individuare talenti e sviluppare competenze, promuovere l'impegno, offrire un ambiente di lavoro soddisfacente, attraente e stimolante. D'altra parte, c'è una difficoltà nel realizzarla quotidianamente, come se i valori e i principi eletti e diffusi ad ogni livello organizzativo fossero troppo idealistici per essere realizzati. Dimentichiamo l'ideale che ha presieduto all'elaborazione dei valori aziendali ricadendo in una forma di assurdità manageriale: fare pressione sui nostri colleghi per ottenere ciò che vogliamo, formulando richieste e non prestando attenzione all’ascolto. Atteggiamento che alimenta l’insoddisfazione e le frizioni professionali, in quanto ignora completamente il contributo positivo di un collega, semplicemente perché la sua prospettiva potrebbe contraddire la nostra idea di “ciò che è giusto fare”.


Sviluppa "l'arte del vedere"


Pensatore intransigente, il filosofo indiano ha impiegato la sua esistenza alla ribellione pacifica, rivendicando sempre la sacralità della libertà di pensiero degli uomini. Krishnamurti era alla ricerca della verità, che chiamava anche "l'arte del vedere". Secondo Krishnamurti, questa arte del vedere si realizza osservando cosa accade nella propria mente e nel proprio spirito. Osservazione delle immagini, dei simboli, delle credenze che sarebbero secondo lui la causa delle difficoltà umane. Essere attenti al proprio linguaggio interiore, per Krishnamurti, è prima di tutto guardare se stessi, osservando il condizionamento che ci porta a pensare in un modo piuttosto che nell'altro. L'ambizione di Krishnamurti è proporre una trasformazione della mente, perché la crisi è, secondo lui, "una crisi di coscienza" e il caos esterno è solo il riflesso del nostro stesso caos interiore.

 

Ciò che pensiamo del mondo influenza il mondo

La prima consapevolezza da sviluppare riguarda il nostro stato d’animo. Non possiamo raggiungere relazioni armoniose e costruttive con gli altri, se internamente coltiviamo emozioni come la rabbia, la paura o l’invidia. Semplicemente perché il nostro modo di essere, il nostro agire, modifica costantemente il nostro ambiente di riferimento. Ciò che proiettiamo all’esterno influisce e condiziona inevitabilmente le nostre relazioni.  Abbiamo quindi una responsabilità personale nelle relazioni che intratteniamo. Questa responsabilità non deve essere vissuta come senso di colpa, ma come una responsabilità creativa, che ci invita ad agire, a plasmare e ridisegnare di continuo le infinite possibilità di innovare.

E si tratta di una trasformazione che possiamo iniziare ad attuare sin da subito. Se comprendiamo che la trasformazione esterna inizia con il lavoro interiore, possiamo modificare le relazioni senza aspettarci che gli altri lo facciano per noi. Il messaggio centrale di Krishnamurti può essere riassunto come segue: non si può voler fermare la violenza, la mediocrità e la vigliaccheria nei rapporti umani, se continuiamo a coltivare questi atteggiamenti. Krishnamurti invita a invertire l'ordine con cui normalmente si approccia il cambiamento relazionale: ci invita a iniziare a trasformare noi stessi, per trasformare la nostra realtà , i nostri rapporti e allineare il mondo che contribuiamo a costruire ai risultati che intendiamo raggiungere.

Cambiare il modo di pensare

Calando il pensiero filosofico di Krishnamurti nelle relazioni professionali, possiamo imparare a modificare la nostra percezione e proiezione dei rapporti con i nostri colleghi, dirigenti e clienti. Interrogando il nostro io interiore, possiamo facilmente scoprire che spesso la visione che si ha di un rapporto definito “problematico”, potrebbe non essere altro che il frutto di una proiezione, di un punto di vista non necessariamente corrispondete alla realtà. Se smettiamo di guardare la relazione secondo il punto di vista che abbiamo sempre adottato, e che ci porta ad inquadrarla come problematica, si potrebbe essere in grado di cambiare la situazione senza sprecare energie e generare malumori derivanti dal mantenere un atteggiamento violento. Ancora, interrogandosi su come intendiamo il rendimento o l’efficacia, saremo in grado di indirizzare efficacemente le richieste fatte ai nostri colleghi, e sicuramente si avrà maggiore consapevolezza di come misurare i risultati ottenuti, dal momento che ci è chiara la direzioni intrapresa. Trasformare il proprio modo di pensare significa quindi già trasformare il proprio modo di fare le cose.

 

Diventa consapevole delle immagini e dei concetti attraverso i quali guardiamo al mondo

Secondo Krishnamurti coesistono in noi due tipi di pensiero. Da una parte c’è il pensiero che ci serve quotidianamente, quello che impieghiamo per analizzare, agire, essere produttivi. E’ il senso percettivo che attiviamo per riconoscere le situazioni favorevoli, il nostro spazio di azione da plasmare con la nostra capacità innovativa. Questa tipologia di pensiero è secondo Krishnamurti produttivo, mentre non è favorevole alle nostre relazioni il cosiddetto pensiero “speculativo”. Ossia il pensiero che sviluppiamo basandoci su ciò che abbiamo vissuto nel passato, proiettando nel futuro la percezione acquisita in passato.

Quando consideriamo un cliente o un partner difficile da gestire, tendiamo a credere che anche le successive interazioni con lo stesso saranno problematiche. In realtà la problematicità è proprio alimentata da questo atteggiamento. Ci attendiamo delle difficoltà, e il nostro atteggiamento diventa difensivo, di sfiducia, portandoci ad agire con violenza.

Per uscire dall’impasse in cui spesso ci troviamo in situazioni difficili, Krishnamurti ci invita ad identificare i filtri che inconsapevolmente (o meno) applichiamo alle situazioni. È la discrepanza tra ciò che ci attendiamo e ciò che crediamo di osservare che ci rende insoddisfatti delle nostre relazioni professionali. Ecco perché secondo Krishnamurti è necessario individuare i “filtri” con cui osserviamo il mondo: immagini, credenze, concetti, sentimenti influenzano, delle volte distorcendo, le nostre percezioni di una data situazioni e delle azioni a nostra disposizione.  Praticamente, si tratta nel quotidiano di porre attenzione a questi meccanismi di codifica automatici che utilizziamo per interpretare il mondo. Liberando la mente dalla percezione alterata dei rapporti professionali, liberiamo energia e creiamo condizioni favorevoli a superare la difficoltà.

 

La pratica

Come ogni cambiamento, solo la pratica graduale e costante potrà portarci a riconoscere il nostro potere di influenzare il mondo che ci circonda. Per praticare la filosofia di Krishnamurti, si potrà iniziare nell’identificare una relazione o una situazione che ci crea un disagio professionale e che desideriamo modificare. Una relazione conflittuale con un manager, un membro del tuo team, un cliente ... un incontro dal quale temiamo di non ottenere nessun benefit.

Una volta individuato il rapporto che intendiamo migliorare, dobbiamo impegnarci quotidianamente ad analizzarlo. Osservare cosa accade nella nostra mente e nella nostra coscienza quando pensiamo a quella persona, o situazione, o a come reagiamo in sua presenza.

Non bisogna soffocare reazioni o emozioni, ma solo prenderne coscienza e gradualmente giungere ad un giudizio di adeguatezza da parte nostra. Sviluppare la riflessione interiore significa individuare in che punto del nostro essere, del nostro io le percezioni si distorcono, sino a divenire impedimenti. Rimanere nell’idea di pace interiore richiede un notevole sforzo di volontà, ma il beneficio che apporta alla nostra quotidianità lavorativa è determinante.

Troveremo inspiegabilmente che un semplice atteggiamento e una diversa consapevolezza di se, potrebbe mitigare molte situazioni che sin ora abbiamo gestito con difficoltà.

 

Ringraziamo Krishnamurti per questa seconda pillola. Nell’appuntamento di giovedì prossimo, il nostro ospite celebre sarà SPINOZA che ci guiderà a prendere coscienza delle emozioni, e comprenderle per incanalare l’innovazione.

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