Lost in traslation. Imparare a "pensare" in una nuova lingua
Bot, big data, lean, cloud, open innovation, augmented reality. Le parole dell’innovazione invadono i nostri spazi, dai feed sui social alle conversazioni con colleghi, clienti, partner, fornitori.
Anglofone, tecniche, spesso vocaboli intraducibili, nascono con le nuove tecnologie e portano con sé nuove trasformazioni.
Ecco che iniziamo ad abbracciare l’idea di nuovi modelli, nuovi prodotti o servizi, oppure sono fattori esterni (i nostri partner) o fattori contingenti (lockdown) a farlo al posto nostro.
Per pensare l’innovazione vuol dire imparare a parlare con l’innovazione.
Non solo agire e creare, ma soprattutto “comprendere” fin da subito le opportunità che nascono imparando ad utilizzare la nuova lingua.
La lingua, secondo i deterministi, disegna per noi significati e concetti e ci guida nel comprendere meglio le nostre relazioni, i significati ed il perchè delle nostre azioni e decisioni.
Uno studio della l'Università Pompeu Fabra di Barcellona ha analizzato diversi madrelingua spagnoli e confrontato le scelte etiche e le loro capacità decisionali in spagnolo e in una lingua straniera come l'inglese.
Lo studio ha rivelato come fattori emotivi erano prevalenti nel processo decisionale quando i partecipanti usavano lo spagnolo. Non solo. Mostravano anche una tendenza a considerare il rischio e la certezza in modo diverso in base alla lingua utilizzata. Nel prendere decisioni usando l'inglese, ad esempio, i partecipanti si comportavano in maniera più razionale e logica.
E’ nota la differenza tra lingue germaniche più orientate a chiarire ed esporre le cose, rispetto a quelle romanze utili nell’ esplorare concetti, significati diversi, sentimenti. Le lingue germaniche sono predisposte all’azione, quelle romanze, invece, meglio si adattano alle cose imprevedibili, o come le definiscono molti: “lingue che ispirano la magia”.
Imparare a pensare nella lingua dell’innovazione ci aiuterà ad acquisire quelle competenze necessarie a muoverci nella complessità ed ad irrobustire le nostre decisioni con diverse prospettive.
Oggi che siamo chiamati ad interpretare nuovi dati, utilizzare nuove tecnologie, declinare le nostre conoscenze in nuovi settori e contesti (T shaped), salvaguardare nuovi diritti. Come possiamo farlo se prima non abbiamo avuto modo di apprendere ed utilizzare una nuova lingua, quella dell’innovazione o. ancor meglio, a pensare attraverso l’innovazione?
Quando ci imbattiamo in termini nuovi, se non abbiamo familiarità con quella lingua non riusciamo a cogliere l’essenza del significato e quindi operiamo una traduzione di comodo. che, in questo caso, diventa un tradimento. A farne le spese è il background culturale della lingua da imparare.
Il termine “lead” ad esempio, non è un un "cliente potenziale" ma una parola che dà forma ad un intero processo. Altri esempi presi da culture lontane, l’espressione giapponese “mono no aware ” non è un semplice “sentimento per l cose intorno” bensì la sensazione dolceamara che si ha quando si sta vivendo un momento di grande bellezza che è destinato a scomparire, così come Waldeinsamkeit (tedesco) la sensazione di sentirsi “soli in un bosco”, sensazione che è qualcosa più vicina alla contemplazione che allo smarrimento. Solo se si ha una reale consapevolezza della parola possiamo accedere ai significati della cultura di riferimento.
Con l’innovazione è lo stesso. Il cambiamento ha inizio con l'imparare ad utilizzare la nuova lingua. Possiamo farlo con esperienze dirette in contesti culturali dell’innovazione, dialogando costantemente con persone che hanno già fatto innovazione, connettendoci a nuovi ecosistemi, attività che ci aiutereranno nel rinforzare il nostro vocabolario attivo, le parole che utilizziamo, colmando il divario con il nostro vocabolario passivo, ovvero le parole che ci limitiamo a comprendere.
Senza perderci nella traduzione siamo pronti a pensare in una nuova lingua.
Abbiamo iniziato a parlare di futuro. Siamo sicuri di aver compreso bene il significato? E se vogliamo realizzare un prodotto ed un servizio innovativo per qualcuno, abbiamo già dato “voce”, direbbe Carmelo Bene, ai suoi bisogni ed i reali significati che le persone gli attribuiscono?