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Innovazione: una questione di felicità

Lo psicologo statunitense Mihaly Csiksgentmihalyi scriveva lo scorso secolo: “ la felicità viene ricercata per sé stessa, mentre ogni altro fine viene ricercato perché ci renda felici”. 
 
Lo scopo di Mihaly era interrogarsi e capire quando o come possiamo vivere sentendoci felici. Per raggiungere il suo obiettivo intervistò un campione qualificato di oltre mille persone e, dall’analisi dei dati aggregati, raggiunse questo risultato:
 
Una persona è felice quando
 
1) si occupa di un’attività che
2) si è scelti da sé e che 
3) non annoia (boreout) né stimola eccessivamente (burnout)
4) ha uno scopo ben definito 
5)  e della quale si hanno informazioni certe
 
Il primo spunto di riflessione interessante è identificare la felicità con l’azione. Non basta allontanare il dolore, tensioni e dedicarsi al relax assoluto. Si è felici quando si agisce. Potrebbero essere d’accordo con noi molti sportivi, attori, medici che considerano l’atto di agire, ovvero di mettere in pratica la propria conoscenza e le proprie capacità come portatore sano di felicità. 
 
Quando dedichiamo anima e corpo alla realizzazione di un progetto innovativo se le prime tre condizioni, sia dal punto di vista strutturale che motivazionale, sono soddisfatte, dobbiamo necessariamente occuparci della 4 e della 5, ovvero il definire uno scopo ed avere informazioni certe. Abbiamo più volte analizzato nell'era della conoscenza attraverso i dati, l'importanza di guidare la nostra azione sulla base di informazioni certe (analisi dei bisogni, validazione del prototipo, testing ecc..). Soffermiamoci al punto 4. Lo scopo è fondamentale.
 
Perché innovare?
 
Lo facciamo per noi stessi, per trarne un solido guadagno economico ed un elevato grado di soddisfazione? Sicuramente. Ma per irrobustire la portata del nostro agire è interessante poter includere valori e finalità di più ampio spettro.
 
Come ci capita spesso, proviamo a cercare qualche spunto di riflessione nella filosofia. Da Aristotele, Epicuro, Hume molti hanno strutturato le loro riflessioni sul concetto di felicità, ma in questo post andremo ad osservare alcuni aspetti di quella dottrina filosofica del XVIII secolo conosciuta con il nome di utilitarismo.
 
Il bene ultimo della conoscenza è massimizzare la felicità, o meglio, le nostre azioni andrebbero misurate in base alla felicità che producono non solo per noi stessi ma per l’intera comunità (o meglio per il numero maggiore possibile di persone). 
 
Possiamo decidere di innovare per misurarci e misurare le nostre capacità ma se nelle componenti organiche del nostro progetto abbiamo disegnato come scopo un vantaggio distribuito,  condiviso non solo con i nostri clienti ma anche con i nostri partner istituzionali e privati, ovvero con più soggetti coinvolti all’interno della nostra comunità, potremmo affermare che lo sperimentare, l’atto di innovare, il vivere l'innovazione può renderci ancora più felici.
 
 
Partendo dalla strada tracciata dal suo mentore Jeremy Bentham che aveva preso in esame l’aspetto quantitativo riassumibile nella formula secondo cui ‘il bene è la maggior felicità del maggior numero’, John Stuart Mill si concentrò maggiormente sull’aspetto qualitativo della felicità partendo dal presupposto che non tutti siamo uguali ed ognuno di noi ha il suo piacere ed il suo personale concetto di felicità. Quale piacere sia migliore di un altro, può definirlo bene solo una persona che li ha provati entrambi decidendo verso dove protendere.
 
Se decliniamo le parole di Mill nel campo dell’innovazione dovremmo considerare che una qualsiasi innovazione necessiti comunque di un sentimento comune di conoscenza, un sentimento in parte insito in alcuni bisogni ma rafforzabile solo attraverso l'educazione, operata dagli altri individui e dalle istituzioni della società.
 
Siamo entrambi felici, se entrambi abbiamo consapevolezza e quindi conoscenza delle nostre azioni, in poche parole: educare all’innovazione. (pensiamo alle possibiltà insite nei porcessi di digital trasformation nelle aziende)
 
E’ necessario che la scuola, le aziende e le istituzioni, e quindi tutti quelli che vogliono essere operatori di cambiamento sostenendo,  secondo il proprio ruolo e le proprie responsabilità,  la formazione, la cooperazione delle eccellenze, la crescità e l'integrazione di quel patrimonio unico di idee e talenti per integrare un ecosistema fertile fatto di mezzi, strumenti, azioni, ambiente e possibilità.
 
Perché se è vero che nell’era della cooperazione insieme é meglio, nel nostro piccolo é sempre prezioso portare con sé quella citazione di Tostoj secondo cui “la felicità è reale solo se condivisa”.

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