Innovare e amare non hanno sinonimi: bisogna saltare!
Riecheggia nelle parole delle anziane signore e nei proverbi un problema antico e nuovo: mai cambiare la strada vecchia per quella nuova, perché sai quello che perdi e non sai quello che trovi. Perché la via nuova è ignota, fa paura, meglio non cambiare: “si è sempre fatto così, non c’è alternativa”. Gli anglosassoni, che sono molto più gelidi e sintetici, traducono tutto ciò con un acronimo che ricorda il nome di una dolce signora, TINA: There Is No Alternative. Nella storia dell’uomo TINA ha fallito, sempre, travolta da quell’onda di disruption innovativa e l’apollineo (razionale, conservatore, calcolatore) ha dovuto spesso fare i conti con lo spirito Faustiano, dionisiaco (passionale, dirompente, travolgente, rivoluzionario).
Innovare è un po’ come amare. Abbracciare il nuovo, amare qualcuno è bello, ma spaventoso. Bisogna lasciare sempre un po’ della strada vecchia alle spalle, bisogna lasciare sempre un po’ di noto per accogliere un pizzico di ignoto. Innovare e amare non hanno sinonimi. O meglio ce l’hanno, ma nessuno di essi è potente abbastanza. Occorre leggere con lenti diverse. Non c’è davvero alternativa, non si può non amare, non si può non innovare. Innovare e conoscere per sopravvivere, amare per sopravvivere. Per le imprese, per le persone.
“Lo sai, mettersi ad amare qualcuno è un'impresa. Bisogna avere un'energia, una generosità, un accecamento. C'è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa” – Quest’aforisma di Jean Paul Sartre non è dei più ottimisti (infatti Sartre continua dicendo “ Io so che non salterò mai piú), ma si può intravedere in esso una call to action: per innovare o amare, bisogna saltare quel precipizio.
Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante per citare un altro gigante tra i filosofi, Friedrich Nietzsche. Egli con il suo linguaggio distruttivo, tagliente, spesso di difficile interpretazione, ha esaltato in tutta la sua filosofia quello spirito dionisiaco, folle, irrazionale, quella volontà di potenza che occorre forse anche per innovare, come per amare. Ha dato voce a un senso di rottura nel pensiero occidentale. Una rottura necessaria per far spazio a qualcosa di nuovo, per andare oltre. Se applicata allo studio dell’impresa, vengono in mente due economisti europei, Werner Sombart e Joseph Schumpeter. Nel solco della tradizione europea, essi non studiavano l’impresa, ma l’imprenditore. E la prima non era vista, come nell’approccio anglosassone, come un insieme di asset da collocare sul mercato, ma come una comunità, un insieme di persone, di imprenditori. Il primo ha parlato di spirito faustiano dell’imprenditore, “che vede ciò che gli altri non vedono”, il secondo ha parlato di quella distruzione creatrice, “che incessantemente rivoluziona la struttura economica dall’interno, distruggendo incessantemente il vecchio e creando incessantemente il nuovo”.
Ormai è giunto quel momento, occorre saltare quel precipizio e se si riflette troppo non lo si fa. Le persone, le università, le banche, le imprese devono esser pronte ad amare, ad innovare. Bisogna rincorrerla quella persona, se veramente la si vuole, bisogna acciuffarla l’innovazione. Non c’è più tempo, le sfide del futuro e la persona che vogliamo amare non attendono. Il lato dionisiaco può prendere il sopravvento. Solo così sono nate delle startup, delle app, delle imprese che hanno spaccato settori consolidati da decenni, li hanno cambiati, semplificati, li hanno distrutti e rinnovati, probabilmente senza pensarci troppo. Probabilmente per amore, di se stessi, dell’innovazione o dell’ignoto, forse spinti da quella volontà di potenza che è in ogni uomo, poco o tanto nascosta. Forse l’imprenditore visionario è l’Oltreuomo 2.0, innova e ama follemente. Si libera dai vincoli, dalle catene – come auspicato da Nietzsche – e diviene se stesso in un’epoca contrassegnata da un nuovo nichilismo.
L’imprenditore oltreuomo (pensiamo a Zuckerberg o Musk) salta e contrappone al gelido "Tu devi!" il nietzschiano "Io voglio!".