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Darwin. Innovazione, questioni di evoluzione

Molti pensano che Charles Darwin sia l’unico “padre” della teoria dell’evoluzione. Non è esattamente così. Infatti, quando lo scienziato divenne famoso per le sue scoperte, già altri studiosi avevano tentato di affrontare l’evoluzione e diverse teorie erano state sviluppate sull’evoluzione della specie, come la teoria di Jean Baptiste Lamarck. Darwin, semplicemente, fu il primo studioso a presentare una teoria sostenibile.

 

Dalla sua formulazione ad oggi, la teoria di Darwin ha trovato applicazioni inimmaginabili, nei settori più disparati. Oltre la Medicina, ove il lavoro di Darwin fonda le proprie radici, altri settori, anche notoriamente high intensive, hanno beneficiato del lavoro di Darwin, dalla logistica all’ingegneria fino al campo dell’intelligenza artificiale, come ampiamente spiegato da Pedro Domingos nel Master Algoritmo.

 

Chiaramente, Darwin è uno degli scienziati più influenti mai esistiti. Oggi, a più di 150 anni dalla sua prima pubblicazione sull’origine della specie, la sua teoria permane uno degli strumenti scientifici più pervasivi che la storia dell’umanità abbia conosciuto. Tuttavia, come ogni grande teoria che ha traghettato l’uomo verso una maggiore conoscenza e consapevolezza, non è il solo lavoro ad essere prezioso, ma l’architettura concettuale e sperimentale che offre a tutti la possibilità di imparare, ancora oggi, dal processo di innovazione di Charles Darwin.

 

  1. Il valore dell’esplorazione

 

Prima di iniziare un nuovo progetto è fondamentale conoscere a fondo l’ambiente ed il contesto nel quale si è deciso di muoversi, senza pregiudizi armati solo del desiderio di conoscere.

 

Studente mediocre, con una forte passione per la geologia e la biologia, nel 1831 Darwin firma come naturalista con la HMS Beagle per un viaggio di cinque anni che lo avrebbe portato alla scoperta dell’America del Sud e del Pacifico. Fu durante questo viaggio che iniziò ad osservare e studiare i fenomeni che costituirono le basi della sua teoria.

 

Le sue prime scoperte furono geologiche. Conchiglie trovate in cima a delle montagne, che lo portavano ad avvalorare la teoria, appena emergente all’epoca, che il mondo non era sempre stato come appariva, ma che aveva modificato la propria conformazione per milioni di anni. Oggi ci appare un’idea scontata, agli inizi del XIX secolo questa posizione era considerata radicale.

 

Ciò che più colpì lo studioso era l’incredibile varietà di specie che aveva osservato durante il viaggio. Per qualcuno che non aveva mai lasciato l’Inghilterra, scoprire che ogni continente, anche piccole isole e atolli, accoglievano specie animali e vegetali completamente diverse, fu una rivelazione.

Furono le esperienze, l’osservazione e l’esplorazione, più di ogni altra cosa, a porre le solide basi della sua famosa teoria.

 

 

  1. Innovazione è combinazione

 

L’esperienza di viaggio di Darwin non fu limitata ad una semplice osservazione. Il lungo viaggio diede a Charles tempo a sufficienza per leggere. Una pubblicazione in particolare stimolò il suo interesse, Principi di Geologia di Charles Lyell, nella quale l’autore esponeva una nuova teoria che aiutò Darwin ad interpretare i fenomeni osservati.

Di forte ispirazione fu anche il saggio di Thomas Malthus che descriveva il tasso esponenziale di crescita della popolazione in relazione ai mezzi a disposizione. Questo saggio ha rappresentato il pezzo finale del puzzle che è poi divenuta la teoria di Darwin sulla selezione naturale.

 

Se, come Lyell ha poi suggerito, il mondo cambia costantemente e, come Malthus ha dimostrato, vi è uno sbilanciamento tra le forme di vita presenti sul pianeta e i mezzi per consentire il loro sostentamento, allora vi è una costante lotta per la sopravvivenza. Ne consegue, che le specie in grado di adattarsi ad un determinato ambiente sopravvivono, sopraffacendo inevitabilmente quelle incapaci di modificarsi rispetto all’ambiente circostante.

 

Quindi, la teoria di Darwin era, più che ogni altra cosa, una combinazione degli studi geologici di Lyell e di Malthus sulle possibilità di sopravvivenza della popolazione, e degli studi che egli stesso aveva meticolosamente condotto durante il viaggio. E’ la combinazione di tutti e tre gli elementi che realmente ha dato vita alla teoria sulla evoluzione delle specie.

 

 

  1. Nessuna teoria è perfetta

La teoria di Darwin rimane una delle più grandi scoperte nella storia dell’umanità, tuttavia non è perfetta. Alcuni assunti si sono infatti poi dimostrati infondati, come la trasmissione dei caratteri ereditari.

Come lo stesso Darwin realizzò poco dopo la pubblicazione del suo libro, dato che le condizioni ambientali cambiano continuamente la selezione naturale favorisce caratteri differenti, e così gli esseri viventi si trasformano lentamente di generazione in generazione. Così nella lotta per la sopravvivenza non sono favoriti necessariamente gli individui più forti e intelligenti, ma quelli che riescono a riprodursi di più. Poiché la selezione naturale dipende dalla variabilità generata dalla necessità di adattamento delle specie, l’idea della mescolanza ereditaria rischiò di minare la tessa teoria che Darwin cercava di dimostrare.

La mancanza di fondatezza di questo assunto non era un aspetto irrilevante, come dimostrato dai tentativi successivi di Darwin di dimostrare la teoria della Pangenesi. Ironia della sorte, un monaco austriaco – Gregor Mendel – nel 1865, poco dopo la pubblicazione dell’Origine della Specie, scoprì i fondamenti della scienza genetica affermando che i caratteri ereditari sono trasmessi da unità distinte e distribuiti in modo diverso e casuale ad ogni combinazione. I due, sfortunatamente, non si sono mai incontrati.

Il lavoro di Darwin, per quanto rivoluzionario e ancora attuale, rimase una teoria incompleta per circa mezzo secolo, fin quando la scienza non scoprì ciò che Mendel aveva verificato molti anni prima. Quella che oggi consideriamo la teoria di Darwin, è in effetti la combinazione del genio e della acutezza osservativa di due uomini.

 

  1. Scomponi la complessità, ricomponi il quadro.

 

Immaginate la vita nel 1800, e immaginate cosa significasse per Darwin avanzare una teoria che avrebbe aperto l’esplorazione su dimensioni sin a quel momento considerate impenetrabili. All’epoca, la maggior parte delle persone viveva la propria esistenza a poche miglia dai luoghi di nascita. Quasi un terzo degli uomini, e la metà delle donne, non erano istruiti, e anche per i letterati leggere era un’attività dispendiosa.

Non vi era l’abbondanza odierna di contenuti e opere, dunque, l’idea che milioni di specie si scontrassero per sopravvivere in un ambiente mutevole, era difficile da immaginare e assimilare per gran parte della popolazione. Lo stesso Darwin poté sperimentare la varietà di specie umane e vegetali quando si avventurò nell’ignoto, ed iniziò a documentare celermente tutti gli organismi che egli incontrò lungo il suo peregrinare.

 

Oggi, come ampiamente discusso da Sam Arbesman nel suo libro “Overcomplicated”, gran parte della complessità che osserviamo deriva proprio dalle nostre creazioni, e dal crescente accumulo di evoluzioni che si sommano trasversalmente in vari campi. Pochi esperti di tecnologia comprendono realmente appieno la complessità dei sistemi informatici, proprio come il più ligio degli avvocati non è in grado di padroneggiare più che una piccola fetta del codice.

 

Non sorprende che Arbesman suggerisca di approcciare alla complessità moderna come Darwin, catalogando e documentando i piccoli ecosistemi in cui ci imbattiamo, in modo da chiarire la teoria sovrastante, l’architettura massima.

 

La verità è che l'innovazione ha bisogno di esplorazione. Proprio come il viaggio di Darwin sul Beagle, se non ci avventuriamo non possiamo aspettarci di sapere cosa troveremo in anticipo. L'unica certezza è che non impariamo nulla restando fermi.

 

 

 

 

 

 

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