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Pandermonium: un framework per problemi complessi

La nostra capacità di innovare è direttamente proporzionale alla nostra capacità di risolvere problemi. Abbiamo visto più volte che, per innovare e creare valore, infatti, l’idea e l’intuizione non bastano: occorre partire dall’individuazione e dall’analisi di un problema che sia importante per un target specifico, per orientare il lavoro alla risoluzione di quel problema. Un problema a cui, quotidianamente, se ne aggiungono di nuovi, di natura operativa o strategica, risultanti dalle ‘regolari’ condizioni di incertezza, proprie dei contesti di innovazione, o da situazioni di crisi, come quella generata dalla pandemia, che richiedono interventi più complessi. Sfide più o meno drastiche, che pongono un imperativo comune: risolvere problemi.

Nel suo libro e documentario “Pandermonium”, Katie Martell, marketing strategist, offre una nuova prospettiva per generare, da un problema, cambiamenti ponderati, produttivi e duraturi. La Martell propone un framework, articolato in sei fasi, che può aiutarci a risolvere i problemi in modo più efficace, connettendoci con il nostro obiettivo, il nostro team e i nostri clienti.

 

Capire il vero problema. Spesso ci accorgiamo di un problema dalla manifestazione dei suoi effetti, come conflitti interni o esterni, risultati insoddisfacenti da persone o processi. Tali effetti oscurano le radici del problema, portandoci ad agire su fattori che non ne rappresentano la causa fondamentale. Agendo sulle manifestazioni, però, potremmo solo ottenere un cambiamento nel breve periodo, lasciando in latenza le cause originarie del problema, che inevitabilmente si ripresenterà. Ecco che risulta fondamentale andare più a fondo e scoprire quali sono le ragioni, gli elementi e le condizioni che lo hanno generato: questa analisi, da un lato, consentirà l’adeguata pianificazione di azioni correttive, che portino agli esiti desiderati, e, dall’altro, permetterà alle persone coinvolte, a vario titolo, nel processo di risoluzione del problema di evitare le frustrazioni derivanti dalla constatazione di un impegno profuso nella direzione sbagliata e dal mancato raggiungimento di un obiettivo stabilito.

 

Creare allineamento. Non possiamo generare cambiamenti da soli: abbiamo bisogno di compagni di squadra che condividono i nostri obiettivi e di alleati, i nostri clienti, che siano consapevoli del nostro impegno per la risoluzione del problema che stanno vivendo. All’interno del nostro team, in tema di problem solving, creare allineamento significa far sì che tutti abbiano le stesse conoscenze ed informazioni sul problema e siano motivati a partecipare attivamente alla sua risoluzione: analizzare insieme le radici (Fase 1), ad esempio, consente di ottenere il pieno coinvolgimento di tutti nella definizione e comprensione del problema reale e del ruolo di ognuno nel processo di risoluzione/prevenzione, incrementando motivazione e responsabilizzazione. Nei confronti dei nostri clienti, invece, è fondamentale mostrare loro che guardiamo al problema dalla loro prospettiva e che stiamo orientando il nostro lavoro a risolverlo. Per renderli veri e propri ‘alleati’, dobbiamo ascoltare attivamente e comunicare efficacemente, per creare e comunicare una visione che sia unificata per tutti e che renda chiaro verso quale obiettivo, insieme, ci stiamo muovendo.

 

 

Indicare step sostenibili. Occorre fornire al team e agli ‘alleati’ percorsi fattibili: quando le direttive sono impartite dall’alto e non si ha una comprensione profonda degli ostacoli che i membri del team potranno incontrare per attuare tali direttive, molto probabilmente ne risulterà un piano che non porterà ai risultati attesi. Nella definizione della strategia e delle attività di risoluzione del problema, Martell propone di consultare innanzitutto chi ne ha/ha avuto un’esperienza personale, tenendo in considerazione ruolo, responsabilità e compiti che potrebbero influenzare la sua percezione e visione del problema.

 


Consentire l’errore. Secondo Martell, bisogna assicurarsi che nessuno venga attaccato o punito mentre sta provando a risolvere un problema, ossia che nessuno si vergogni per un errore. La vergogna, infatti, a breve termine può portare ad una conformità e alla correzione di comportamenti scorretti, ma rappresenta un motivatore basato sulla paura che, sul lungo termine, innesca meccanismi di difesa e resistenza, ai quali l’individuo ricorrerà per non sentirsi incompetente.

 

 

Mantenere alta la motivazione. Se guidiamo un team, la nostra motivazione è cruciale, per due aspetti principali: innanzitutto, la nostra squadra e i nostri alleati avranno fiducia in noi e nella nostra capacità di portare avanti un progetto se credono nella nostra motivazione, se questa è solida abbastanza da trovarvi ispirazione; in secondo luogo, siamo tutti, in qualche modo, resistenti al cambiamento, e mantenere alta la motivazione ci consentirà di aver sempre chiaro l’obiettivo e di trarre la forza per superare gli ostacoli che inevitabilmente incontreremo sul nostro percorso.



Scegliere la giusta sfida. “Non cambierai il mondo domani [...], applica la tua energia dove c’è un terreno fertile”, ha scritto Martell, invitando a costruire ed incrementare la propria influenza, all’interno e all’esterno dell’organizzazione, attraverso piccoli passi in "terreni fertili”, non disperdendo, quindi, attenzione ed energia dove il nostro contributo non può essere determinante. È più probabile, infatti, secondo la Martell, che le persone rimangano impegnate nella nostra causa quando riescono a visualizzare successi raggiunti o progressi in corso.

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